Desidero dedicare la Newsletter dei mesi di Ottobre e di Novembre alla Contemplazione della Natura.
Nel periodo storico che stiamo vivendo e nell’atto di esperire una seconda ondata pandemica legata al Covid, molti paradigmi acquisiti sono stati messi in discussione. Paure, timori, e scetticismo verso delle manovre risolutive salvifiche si proiettano nelle nostre vite consce e inconsce immessi in un circolo mediatico che spesso ci fagocita e ci sovrasta, con il rischio di inibire il nostro discernimento e la nostra capacità di analisi.
Come poter convivere in modo yogico con tale scenario? Come riuscire a raggiungere uno stato di serenità trasmettendolo anche a chi si sente indifeso e incapace di reagire?
Si potrebbe iniziare a trasformare la nostra percezione di quello che sta avvenendo. Piuttosto che osservare il virus come un acerrimo invisibile nemico, forse dovremmo iniziare a visualizzarlo alla stregua di un messaggero della Natura, la quale tramite lo stesso sta proclamando una ferita inflittale dall’ipertrofico e coercitivo dominio umano che ne ha compromesso ahimè lo stato di equilibrio. E partendo da questo mutamento di prospettiva, ciascuno potrebbe impegnarsi a intessere una relazione profonda e veritiera con la Natura all’insegna del rispetto e della tutela transitando dalla dimensione manifesta e visibile (viakta) a quella più interiore in dialogo con le nostre rispettive anime. Si traccerebbe così un percorso di interiorizzazione che M. Eliade ha denominato “en-stasi”, grazie al quale si dimora nell’intima unione tra il proprio sé e il divino.
Si sottolinea come tale processo che permea un viaggio interiore ad originem, possa accompagnare quel viaggio di ritorno verso un momento iniziale inteso come l’incipit delle nostre afflizioni, descritto nel sutra II.10 “Te pratiprasava-heya Suksmah”. In tale verso Patanjali afferma come le afflizioni – i Klesha – più sottili possano essere eliminate riconducendole alla loro causa; il termine Pratiprasava indica quella traiettoria che ripercorre a ritroso l’origine delle afflizioni…

Tornando al tema della mutata percezione del virus, mi piacerebbe condividere con voi l’idea di promuovere un incontro luminoso e folgorante con la Natura, attuando una meravigliosa contemplazione della stessa. i.e., riuscire ad “Essere e ad Esistere” in uno stato di quiete immersi nella Natura, uscendo dall’imperante pensiero concettuale.
Riusciremmo così a cimentarci in degli affascinanti esercizi quali ad esempio l’assorbire e l’interiorizzare l’essenza di una roccia, di una quercia e/o di un cerbiatto, riposando profondamente nell’Essere che permea tutti gli esseri, liberandoci dall’egoità (ahamkara). E/o potremmo orientare la nostra consapevolezza verso i suoni sottili della Natura – il fruscio delle foglie accarezzate dal vento, le gocce di pioggia che dolcemente incontrano le gocce di rugiada, il sinfonico cinguettio di un uccellino all’alba. Immergendoci completamente nell’ascolto, forse scopriremmo come al di là del suono esista una sacralità la quale non coglibile dal pensiero è karmicamente depositaria di un atto di contemplazione…

Ripensiamo alla radice etimologica latina della parola contemplazione cum templum, che designa “l’essere nel tempio” laddove “templum” non solo indica il tempio sacro consacrato al culto di una divinità, ma anche uno spazio sacro appartenente all’immensa volta celeste. La contemplazione delle stelle e delle costellazioni presente sin dai tempi più antichi per delineare una rotta nei lunghi e audaci viaggi compiuti per terra e per mare, donava e dona ancora all’uomo la possibilità di scorgersi e di riconoscersi nell’immensa gerarchia cosmica individuando il proprio tempio interiore.
Già Platone considerava la contemplazione il momento più alto dell’esistenza, in virtù del quale attingendo dalle idee, dagli archetipi del mondo sensibile, l’umanità riusciva a ritrovarsi in prossimità della propria origine.
Il concetto platonico di contemplazione fu poi sviluppato da Plotino il quale nelle Enneadi ne accentuò il carattere mistico; ho scelto di riportare alcuni luminosi versi di questa opera:

Pensa a una sorgente che non si distingua dalla sua origine e che si doni a tutti i fiumi, senza che si lasci impoverire da questi; essa rimane stabilmente nella sua integrità, mentre i fiumi che ne sgorgano, prima di imboccare il proprio corso, quando ancora sono tutti insieme, per così dire, già conoscono, uno per uno,
la direzione della propria corrente. Oppure, pensa alla vita di un albero immenso, che è dovunque diffusa, ma che non perde il suo carattere di principio, né si dissipa del tutto, restando ben fondata alla sua radice.
È appunto a questo principio che si deve tutta la vita dell’albero nella sua esuberanza, ma esso resta integro, perché non è molteplice, ma principio della molteplicità”.

 Nei versi III.1 e III.2 degli Yoga Sutra, la concentrazione Dharana viene definita come un flusso di coscienza orientato all’immagine di un oggetto; quando tale flusso diviene costante e continuo scorrendo senza interruzione, eka-tanata, si esperisce la meditazione altresì inducendo uno stato contemplativo. Contemplando la Natura, rilasciando le categorie concettuali associate alla stessa, si può pervenire alla natura dell’Anima, sperimentando delle forme di realizzazione interiore.

Condivido con voi un famoso aneddoto in cui si narra di quando sant’Agostino, mentre camminava lungo una spiaggia assorto nei suoi profondi pensieri, incontrò un bambino che con una ciotola riversava l’acqua del mare dentro una piccola buca scavata nella sabbia. Alla domanda del Santo che gli chiedeva cosa stesse facendo, il bambino rispose che desiderava riversare tutta l’acqua del mare dentro quella piccola buca. Sant’Agostino si rivolse al bambino dicendogli che quella piccola buca non poteva di certo contenere tutta l’acqua del mare. Il bambino gli rispose che se fosse stato davvero così, allora nemmeno lui in qualità di santo avrebbe mai potuto comprendere i grandi misteri del creato; la sua mente altro non era che una piccola buca posta di fronte all’immensità del mare…

Prodighiamoci in numerosi e affascinanti esercizi di contemplazione della Natura.
Ritroviamo un frammento di divino racchiuso nel terzo occhio e ci sentiremo finalmente a casa, riscaldati dall’intimo e caloroso focolare del nostro tempio sacro in cui si animano le nostre essenze impregnate della stessa energheia che pervade l’universo intero…
Forse scorgeremo quella agostiniana piccola ciotola di acqua di mare, finalmente racchiusa dentro di noi!

“Il principio, infatti, non si suddivide in parti nel tutto, perché, se così facesse, distruggerebbe anche il tutto, che non potrebbe più esistere, se il principio stesso non rimanesse identico nella sua propria diversità.
Ecco perché ogni elevazione, in qualsiasi caso, avviene in direzione dell’Uno.” Enneadi III 8, 10

In quella sacra interconnessione con l’infinito e con Dio, riusciremo ad emanciparci dalle paure associate al Covid, dalle abitudini cristallizzate e dall’autocommiserazione, promuovendo un salutare ritorno allo Yoga dell’Azione che conduce alla contemplazione della verità come magistralmente insegnano gli straordinari versi della Bhagavad Gita!

Hari Om Tat Sat

Gaia

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